domenica 17 febbraio 2013

FEUERBACH


VITA E OPERE
Ludwig Feuerbach(1804 Landshut - 1872 Rechenberg), è considerato il fondatore dell'ateismo filosofico ottocentesco.
Fu scolaro di Hgel e si vide troncare la cariera universitaria a causa delle sue idee relative alla religione, esposte in uno dei suoi primi scritti, pensieri sulla morte e l'immortalità.
Inizialmente hegeliano, Feuerbach si staccò dell'helelismo. tale distacco è segnato dallo scritto "Critica della filosofia hegeliana".
nel 1841 pubblicò la sua opera fondamentale, l'essenza del crisianesimo, alla quale seguì nel 1845, L'essenza della religione, anch'essa opera di grande importanza.

IL ROVESCIAMENTO DEI RAPPORTI DI PREDICAZIONE

La filosofia di Feuerbach nasce dall'esigenza di cogliere l'uomo e la realtà nella loro concretezza.
Il presupposto di tale teoria è una critica radicale della maniera IDEALISTICO-RELIGIOSA di rapportarsi al mondo.
Trattasi di uno STRAVOLGIMENTO dei rapporti reali tra SOGGETTO e PREDICATO, concreto ed astratto.
L'equivoco di fondo dell'idealismo è quello di fare del concreto un predicato o un attributo dell'astratto, anziché dell'astratto un predicato o un attributo del concreto "IL PENSIERO DERIVA DALL'ESSERE MA NON L'ESSERE DAL PENSIERO".
L' idealismo offre una visione rovesciata delle cose. Da ciò il programma feuerbachiano di un'inversione radicale dei rapporti tra soggetto e predicato instaurati dalla religione e dall'idealismo.

LA CRITIA ALLA RELIGIONE
Dio come proiezione dell'uomo.
Feuerbach afferma che non è DIO (l'astratto) ad aver creato l'uomo(il concreto), ma l'uomo ad aver creato Dio.
Dio è proiezione illusoria o l'oggettivazione fantastica di qualità umane, in particolare di quelle "PERFEZIONI" caratteristiche della nostra specie che sono la ragione, la volontà e il cuore.
Il divino quindi è nient'altro che l'umano in generale, proiettato in un mitico aldilà e adorato come tale.


Il mistero della teologia è quindi l'antropologia.

<<La religione - scrive Feuerbach in L'essenza del cristianesimo - è l'insieme dei rapporti dell'uomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però come un altro essere[...]. 
Tutte le qualificazioni dell'essere divino sono perchiò qualificazioni dell'essere umano[...]. Tu credi che l'amore sia un attributo di Dio perchè tu stesso ami, crediche Dio sia un essere sapiente e buono perchè consideri bontà e intelligenza le migliori tue qualità>>.


Feuerbach tende a porre l'origine dell'idea di Dio nel fatto che l'uomo ha coscienza di se stesso non solo come individuo, ma anche come specie.
Poiché come individuo si sente debole e limitato, si sente invece infinito e onnipotente come specie. Da ciò, la figura di Dio, il quale, come si è appena visto, è nient'altro che una personificazione immaginaria delle qualità della specie: "La religione è la coscienza dell'infinito; essa dunque è, e non può essere altro, che la coscienza che l'uomo ha, non della limitazione,ma dell'infinità del proprio essere"
(L'essenza del cristianesimo)

Feuerbach ha visto la genesi primordiale dell'idea di Dio nel sentimento di dipendenza ce l'uomo prova di fronte alla natura. secondo questi, tale sentimento ha spinto l'uomo ad adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere: la luce, l'aria, l'acqua e la terra.


Dunque, come sostiene Feuerbach, "il segreto della teologia è l'antropologia", quindi se l'uomo è l'unica essenza esistente, l'altropologia è la chiave per spiegare il mondo. Se la teologia studia l'essere diverso dall'uomo in quanto Dio, l'essere eterno che sempre è esistito e ha generato ogni cosa, ora si tratta di capire, secondo Feuerbach, che le affermazioni della teologia e della religione sono fasulle, in quanto Dio è solamente la proiezione delle qualità presenti nella mente degli uomini.
In particolare ciò che attribuiamo a Dio, la sua eternità, la sua infinità, la sua perfezione, non sono altro che l'eternità, l'infinità e la perfezione che trovano dimora nella mente degli uomini sottoforma di sentimenti. Le qualità che rendono Dio qualcosa di diverso dagli uomini, in quanto sostanza perfettissima e immortale, in realtà sono lo specchio dei sentimenti di immortalità e di perfezione frutto della fantasia e della sensibilità proprie della mente umana.
Dio non è quindi più il creatore degli uomini, in quanto egli è un prodotto umano, il prodotto della coscienza degli uomini.
Dio quindi non esiste come entità a sé ma come sentimento presente nell'uomo, l'uomo produce Dio.
LA CRITICA A HEGEL
Ora, Feuerbach avverte che nel contrasto tra pensiero ed essere Hegel afferma la priorità del pensiero, o, quantomeno, pone il pensiero alla pari dell'essere, mentre, per Feuerbach, il pensiero può solo derivare dall'essere, e non viceversa (se nulla fosse, non potrebbe esistere nemmeno il pensiero). Dunque l'essere è il soggetto (l'esistenza dell'uomo che pensa), il pensiero è il predicato (il pensiero esiste solo come prodotto dell'essere, ovvero grazie all'esistenza dell'uomo che pensa).
La critica che Feuerbach muove ad Hegel è quella di avere invertito la verità dell'essere: Hegel, con l'idealismo, afferma che il pensiero è essere, ovvero il pensiero è il soggetto, e l'essere il predicato. Questo significa che nel superamento della filosofia kantiana che vuole l'essere inconoscibile come cosa in sé, l'idealismo hegeliano afferma che il pensiero non ha limiti, in quanto nemmeno la cosa in sé resiste al fatto di essere pensata: il pensiero diventa quindi il soggetto entro il quale l'essere si manifesta interamente.
"Il vero rapporto tra pensiero ed essere non può essere che questo: l'essere è il soggetto, il pensiero è il predicato. Il pensiero dunque deriva dall'essere, ma non l'essere dal pensiero. L'essere è da se stesso e per opera di se stesso, l'essere viene dato soltanto per opera dell'essere, l'essere ha il suo fondamento in se stesso, perché soltanto l'essere è senso, ragione, necessità, verità, in breve è tutto in tutto. L'essere è, perché il non essere, cioè il nulla, è assurdo."    
(L. Feuerbach, Tesi provvisorie per una riforma della filosofia).
Tale critica muove dalla necessità di superare l'eccessiva astrattezza dell'idealismo hegeliano, per cui l'uomo viene a trovarsi come il predicato del pensiero. Per Feuerbach l'uomo è la prima e vera essenza, il vero essere, ovvero è l'essere sensibile che produce il pensiero inesteso. 
Da questo deriva anche la critica al sistema hegeliano come sistema teologico: l'identificazione dello Spirito Assoluto con Dio, per cui lo Spirito è mosso da una forza divina interna al processo spirituale che non viene influenzata dalla sensibilità degli uomini (sensibilità intesa come capacità dei sensi umani di rapportarsi con il mondo), non può essere vera, poiché se è l'essere degli uomini che produce lo spirito, l'uomo produce anche l'idea di Dio (si veda il capitolo precedente).



martedì 12 febbraio 2013

Ciò che si deve imparare dagli artisti


Quanti mezzi abbiamo per fare belle, attraenti, desiderabili le cose, quando non sono tali?
Io penso che in sé esse non lo siano mai. A questo punto, i medici hanno qualcosa da insegnarci, quando per esempio diluiscono l'amaro oppure mescolano vino e zucchero nei recipienti delle loro misture; ma ancor più hanno qualcosa da insegnarci gli artisti, che propriamente son di continuo intenti a escogitare invenzioni e prestigiosi giuochi di questo genere. Ad allontanarsi dalle cose, finché molto di esse non lo si vede più e molto invece si deve aggiungere con i nostri occhi per vederle ancora - oppure a vedere le cose di lato e come in uno scorcio - o a disporle in modo che in parte restino dissimulate e offrano soltanto la possibilità d'intravvederle in prospettiva - ovvero a contemplarle per entro un vetro colorato o alla luce del tramonto - o a dar loro una superficie e un'epidermide che non abbia una piena trasparenza: tutto questo dobbiamo imparare dagli artisti, e per il resto essere più saggi di loro. In essi, infatti, questa loro sottile forza cessa di solito, laddove cessa l'arte e comincia la vita; noi, invece, vogliamo essere i poeti della nostra vita e in primo luogo nelle cose minime e più quotidiane.
(La gaia scienza, aforisma 299.)

AFORISMI DI FRIEDRICH NIETZSCHE

 Anche per i più grandi uomini di stato fare politica vuol dire improvvisare e sperare nella fortuna.
Friedrich Nietzsche
 Ben poche sono le donne oneste che non siano stanche di questo ruolo.
Friedrich Nietzsche
 Bisogna avere buona memoria per mantenere le promesse.
Friedrich Nietzsche
 Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi.
Friedrich Nietzsche
 C’è una baldanza nella bontà che si presenta come cattiveria.
Friedrich Nietzsche
 Certe madri hanno bisogno di figli infelici, altrimenti la loro bontà di madri non può manifestarsi.
Friedrich Nietzsche
 Che cosa è verità? Inerzia; l’ipotesi che ci rende soddisfatti; il minimo dispendio di forza intellettuale.
Friedrich Nietzsche
 Che cosa desideriamo noi vedendo la bellezza? Desideriamo di essere belli; crediamo che a ciò vada congiunta molta felicità. Ma questo è un errore.
Friedrich Nietzsche
 Che differenza resta tra un convinto e un ingannato? Nessuna, se è stato ben ingannato.
Friedrich Nietzsche
 Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.
Friedrich Nietzsche
 Chi raggiunge il proprio ideale, proprio con ciò lo oltrepassa.
Friedrich Nietzsche
 Chi sa di essere profondo, si sforza di esser chiaro. Chi vuole apparire profondo alla folla, si sforza di esser oscuro. Infatti la folla ritiene profondo tutto quel di cui non riesce a vedere il fondo: è tanto timorosa e scende tanto mal volentieri nell’acqua!
Friedrich Nietzsche
 Chi sa come nasce una reputazione diffiderà perfino della reputazione di cui gode la virtù.
Friedrich Nietzsche
 Chi scrive aforismi non vuole essere letto ma imparato a memoria.
Friedrich Nietzsche
 Ci si sbaglierà raramente, attribuendo le azioni estreme alla vanità, quelle mediocri all’abitudine e quelle meschine alla paura.
Friedrich Nietzsche
 Ci sono tre principali gruppi di uomini: selvaggi, barbari inciviliti, europei.
Friedrich Nietzsche
 Ci sono tante cose tra cielo e terra che solo i poeti si sono sognate e hanno cantato.
Friedrich Nietzsche
 Ciò che noi facciamo non viene mai capito, ma soltando lodato o biasimato
Friedrich Nietzsche
 Ciò che fa l’originalità di un uomo è che egli vede una cosa che tutti gli altri non vedono.
Friedrich Nietzsche

 Colui al quale i pregiudizi correnti non suonano paradossali, non ha ancora sufficientemente riflettuto.
Friedrich Nietzsche
 Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa che Parigi.
Friedrich Nietzsche
 Come le nuvole ci rivelano in che direzione soffiano i venti in alto sopra di noi, così gli spiriti più leggeri e più liberi preannunciano con le loro tendenze il tempo che farà.
Friedrich Nietzsche
 Come suonano bene la cattiva musica e le cattive ragioni, quando si marcia incontro al nemico!
Friedrich Nietzsche
 Con un talento in più si è spesso più insicuri che con uno in meno: come il tavolo sta meglio su tre che su quattro gambe.
Friedrich Nietzsche
 Consolazione: avere da sopportare più di tutti gli altri spesso dà un senso di privilegio e di potenza.
Friedrich Nietzsche
 Contro la noia anche gli dei lottano invano.
Friedrich Nietzsche
 Cosa è male? Tutto ciò che deriva dalla debolezza.
Friedrich Nietzsche
 Da quando ho imparato a camminare mi piace correre.
Friedrich Nietzsche
 Di solito la madre, più che amare il figlio, si ama nel figlio.
Friedrich Nietzsche
 Ciò che non mi distrugge, mi rende più forte.
Friedrich Nietzsche

 Di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore.
Friedrich Nietzsche
 Dio creò la donna. E, a dir vero, da quel momento cessò di esistere la noia; ma cessarono di esistere anche molte altre cose! La donna fu il secondo errore di Dio.
Friedrich Nietzsche
 Dopo essere venuto a contatto con un uomo religioso, sento sempre il bisogno di lavarmi le mani.
Friedrich Nietzsche
 Dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane, ahi troppo umane.
Friedrich Nietzsche
 Dovunque estende la sua influenza, la Germania rovina la cultura.
Friedrich Nietzsche
 È mia ambizione dire in dieci frasi quello che altri dicono in interi volumi.
Friedrich Nietzsche
 É prerogativa della grandezza recare grande felicità con piccoli doni.
Friedrich Nietzsche
 È un giusto giudizio dei dotti che gli uomini di tutti i tempi abbiano creduto che cosa sia bene e male, degno di lode e di biasimo. Ma è un pregiudizio dei dotti che noi adesso lo sappiamo meglio di qualsiasi altro tempo.
Friedrich Nietzsche
 Felicità non è fare sempre ciò che si vuole, ma volere sempre ciò che si fa.
Friedrich Nietzsche
 Fino a che continuerai a sentire le stelle ancora come al di sopra di te, ti mancherà lo sguardo dell’uomo che possiede la conoscenza.
Friedrich Nietzsche

mercoledì 12 dicembre 2012

Il messaggio del superuomo



In "Così parlò Zarathustra", opera pubblicata tra il 1883 e il 1885, si narra che il persiano Zarathustra, fondatore dell'antica religione precristiana del mazdeismo, dopo un lungo periodo di solitaria meditazione, torna tra gli uomini ad annunciare la verità. Il primo annuncio fondamentale è quello del SUPERUOMO.

Esso è l'uomo il quale è stato in grado di liberarsi della fede in Dio, capace di vincere l'iniziale angoscia derivata dalla "morte di Dio", e di vivere coraggiosamente e intensamente la propria vita, al di là del bene e del male.
Il superuomo è l'uomo dionisiaco che sostituisce la fedeltà a Dio con la Fedeltà alla terra.


"Quando Zarathustra giunse alla vicina città al margine della foresta, trovò gran popolo raccolto sul mercato: poiché era corsa voce che vi si sarebbe veduto un funambolo. E Zarathustra cosi parlo al popolo:
Io vi annunzio il superuomo. L'uomo va superato. Che avete fatto voi per superarlo?
Tutti gli esseri crearono finora qualche cosa che sorpassa loro stessi: e voi volete essere il riflusso di questa grande marea, e tornare piuttosto al bruto che superare l'uomo?
Che cosa è la scimmia per l'uomo? Una derisione o una dolorosa vergogna. E questo appunto dev'essere l'uomo per il superuomo: una derisione o una dolorosa vergogna.
Voi avete percorso la strada che porta dal verme all'uomo, ma molto c'è ancora in voi del verme.
Una volta eravate scimmie, e ancor adesso l'uomo è più scimmia di tutte le scimmie.
Ma anche il più saggio, fra di voi, non è che un essere in conflitto, un ibrido di pianta e di fantasma.
Ma forse che vi dico di divenir piante o fantasmi?
Ecco, io vi insegno il superuomo!
Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: il superuomo sia, il senso della terra!
Vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra, e non credete a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali. Sono avvelenatori; lo sappiano o no.
Sono spregiatori della vita, moribondi, avvelenati essi stessi; la terra ne è stanca: se ne vadano dunque!
L'oltraggio a Dio era una volta il maggior delitto: ma Dio è morto e morirono con lui anche questi bestemmiatori.
Oggi oltraggiare la terra è quanto vi sia di più terribile, e stimare le viscere dell'imperscrutabile più che il senso della terra!
Una volta l'anima guardava con disprezzo il corpo: e quel disprezzo era una volta il più alto ideale: lo voleva magro, odioso, affamato. Pensava, in tal modo, di sfuggire a lui e alla terra.
Oh, quest'anima era anch'essa magra, odiosa, affamata: e la crudeltà, sua gioia suprema.
Ma voi pure, fratelli miei, ditemi: che cosa vi rivela il vostro corpo intorno all'anima vostra? Non è forse la vostra anima miseria e sozzura, e compassionevole soddisfazione di sé?
Un fiume fangoso è l'uomo. Bisogna essere un mare per poter accogliere un tal fiume senza divenire impuro.
Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è questo mare, e in esso può inabissarsi il vostro grande disprezzo.
Che di più sublime potrebbe toccarvi? Ecco l'ora del maggior disprezzo, l'ora in cui vi ripugnerà non solo la vostra felicita, ma anche la vostra ragione e la vostra virtù.
L'ora in cui direte: «Che importa la mia felicita! Essa è povertà, è sozzura e misera soddisfazione di sé. Ma la mia felicita doveva giustificare la stessa vita!».
L'ora in cui direte: «Che importa la mia ragione! Brama essa la scienza come il leone il nutrimento? Essa è povertà, è sozzura e miserabile soddisfazione di sé!»
L'ora in cui direte: «Che importa la mia virtù! Non mi ha ancor fatto fare follie. Come sono stanco del mio bene e del mio male! Tutto ciò è miseria e sozzura e misera soddisfazione di sé!».
L'ora in cui direte: «Che importa la mia giustizia. Non vedo che io sia carbone ardente. Ma chi è giusto è carbone ardente!»
L'ora in cui direte: «Che importa la mia pietà,? La pietà, non è forse la croce su cui inchiodano colui che ama gli uomini? Ma la mia pietà, non è crocifissione».
Avete già, parlato cosi? Avete già gridato cosi? Ah se vi avessi già, udito gridare cosi!
Non il vostro peccato, ma la vostra moderazione grida contro il cielo, la vostra avarizia nello stesso peccato!
Dov'è il fulmine che vi lambisca con la lingua? Dov'è la follia che si sarebbe dovuto inocularvi?
Ecco, io v'insegno il superuomo: egli è questo fulmine, è questa follia. -.
Allorché Zarathustra ebbe cosi parlato, uno del popolo gridò: «Abbiamo udito abbastanza il funambolo; vogliamo anche vederlo!» E tutto il popolo rise di Zarathustra. Ma il funambolo che credette la parola rivolta a lui, si accinse al suo lavoro.

Ma Zarathustra guardava il popolo e si meravigliava. Poi disse:
- L'uomo è una fune tesa tra il bruto e il superuomo; una fune sopra l'abisso.
Un pericoloso andare di là, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardare indietro, un pericoloso rabbrividire e arrestarsi.
Ciò ch'è grande nell'uomo è d'essere un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell'uomo è il suo essere un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell'uomo è il suo essere un passaggio e un tramonto.
Amo quelli che non sanno vivere che per sparire, poiché sono coloro appunto che vanno al di là.
Io amo i grandi disprezzatori perché sono i grandi veneratori, e frecce del desiderio verso l'opposta riva.
Amo coloro che non cercano dietro alle stelle una ragione per tramontare ed offrirsi in sacrificio: ma coloro che si sacrificano sulla terra, perché la terra appartenga un giorno al superuomo.
Amo colui che vive per conoscere, e che vuol conoscere affinché un giorno sorga il superuomo. E in tal modo egli vuol il proprio tramonto.
Amo colui che lavora e inventa per edificare una casa al superuomo e preparare a lui la terra, gli animali e le piante: giacché cosi vuole il proprio tramonto.
Amo colui che ama la sua virtù: poiché la virtù è volontà di tramontare e una freccia del desiderio.
Amo colui che non trattiene per se una sola goccia del suo spirito, ma che vuol essere unicamente lo spirito della sua virtù: come spirito, varcherà, il ponte.
Amo colui che della sua virtù fa la propria inclinazione e il proprio destino: per amore della propria virtù vorrà vivere ancora e insieme non vorrà più vivere.
Amo colui che non vuole avere troppe virtù. Una virtù è più virtù di due, perché è più nodo al quale s'aggrappa il destino.
Amo colui l'anima del quale si prodiga, che non vuole ringraziamento e non restituisce: giacche egli dona sempre e non si vuol conservare.
Amo colui che si vergogna se il dado cade in suo favore, e si domanda: sono forse un baro? Poiché egli vuole perire.
Amo colui che getta parole d'oro dinanzi alle sue azioni e mantiene sempre di più di quanto ha promesso: poiché egli vuole il proprio tramonto.
Amo colui che giustifica i venturi e redime i passati: poiché vuole perire per gli uomini d'oggi.
Amo colui che castiga il suo Dio perché ama il suo Dio: giacche dovrà, perire per la collera del suo Dio.
Amo colui la cui anima è profonda anche nella ferita, e che può perire per un piccolo avvenimento: poiché passera volentieri il ponte.
Amo colui l'anima del quale è traboccante, cosi ch'egli dimentica se stesso, e tutte le cose sono in lui: poiché tutte le cose saranno il suo tramonto.
Amo colui che è libero spirito e libero cuore: cosi la sua testa non sarà che un viscere del suo cuore, ma il cuore lo trarrà, alla rovina.
Amo tutti coloro che sono come gocce pesanti, cadenti una per una dalla fosca nube sospesa sugli uomini: annunziano che viene il fulmine, e periranno come annunciatori.
Ecco, io sono un annunciatore del fulmine e una pesante goccia della nube: ma questo fulmine si chiamerà superuomo -.

Quando Zarathustra ebbe pronunciato queste parole, guardò di nuovo il popolo e tacque. - Eccoli - disse al suo cuore - essi ridono: essi non mi comprendono, io non sono bocca per queste orecchie.
Bisogna dunque prima spezzar loro le orecchie affinché imparino ad intendere con gli occhi. Bisogna far dello strepito come i cembali [N.d.R. sono strumenti composti da due dischi metallici, che, battuti fra loro, emettono suoni particolarmente acuti. Usati dai sacerdoti nelle feste in onore di Bacco, o Dioniso, esprimono per Nietzsche lo "spirito dionisiaco" della tragedia greca] e come i predicatori di penitenza? Oppure non credono che a chi balbetta?

Essi hanno qualcosa della quale vanno superbi. Come chiamano la cosa che li rende superbi? La chiamano cultura: essa li distingue dai pastori di capre.
Perciò sono malvolentieri la parola "disprezzo" detta per loro. Voglio dunque parlare alloro orgoglio.
Voglio dunque parlar loro di ciò che è più spregevole: cioè dell'ultimo uomo -.
E cosi parlo Zarathustra al popolo:
- È tempo che l'uomo si ponga uno scopo. È tempo che l'uomo pianti il seme della sua più alta speranza.
Il suo terreno è ancora abbastanza ricco per questo. Ma questo terreno diverrà un giorno povero e sterile e nessun albero vigoroso potrà, più crescervi.
Ahimè! Viene il tempo nel quale l'uomo non getterà più al di la degli uomini il dardo del suo desiderio, e la corda del suo arco più non saprà vibrare!
Vi dico: bisogna ancora portare in sé un caos per poter generare una stella danzante. Vi dico: avete ancora del caos in voi.
Ahimè! Viene il tempo in cui l'uomo non potrà, più generare alcuna stella. Ahimè! giunge il tempo del più spregevole tra gli uomini: quello incapace di disprezzare se stesso.
Guardate! Io vi mostro l'ultimo uomo.
«Che cosa è l'amore? e la creazione? e il desiderio? Che cosa è una stella?»: Cosi chiede l'ultimo uomo, e ammicca.
La terra sarà, divenuta allora piccina, e su di essa saltellerà l'ultimo uomo che rimpicciolisce ogni cosa.
La sua razza è indistruttibile come quella della pulce; l'ultimo uomo vive più a lungo di tutti.
«Noi abbiamo inventata la felicità» - dicono gli ultimi uomini, e ammiccano.
Essi hanno abbandonato le contrade dove duro era vivere: giacche si ha bisogno di calore. Si ama ancora il vicino e ci si stropiccia a lui: giacche si ha bisogno di calore.
Ammalarsi e diffidare è per essi un peccato: avanzano guardinghi. Folle chi incespica ancora nei sassi o negli uomini!
Un po' di veleno di quando in quando: ciò produce sogni gradevoli. E molto veleno infine, per una gradevole morte.
Si lavora ancora poiché il lavoro è uno svago. Ma si ha cura che lo svago non affatichi troppo.
Non si diviene più poveri e ricchi: entrambe queste cose sono troppo opprimenti. Chi vuole ancora regnare? Chi ancora obbedire? Entrambe queste cose sono troppo opprimenti.
Nessun pastore e un solo gregge. Tutti vogliono la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente altrimenti, va da sé al manicomio.
«Una volta tutti erano pazzi» dicono i più astuti, e ammiccano.
Ora la gente ha gli occhi aperti, e sa bene tutto ciò che accadde: se non ne ha di motivi da ridere.
Ci si bisticcia ancora, ma subito ci si riconcilia, altrimenti ci si rovina lo stomaco.
C'è il piacerino per il giorno e il piacerino per la notte: ma sempre badando alla salute.
«Noi abbiamo inventato la felicita», dicono, e ammiccano gli ultimi uomini -.
E a questo punto Zarathustra termino il primo discorso, che si chiama anche «il prologo», giacche l'interruppe il clamore e la gioia della folla. «Dacci questo ultimo uomo, o Zarathustra - si gridava - rendici simili a quest'ultimo uomo, e il superuomo te lo puoi tenere!»
E tutto il popolo giubilava e faceva schioccare la lingua. Ma Zarathustra divenne triste e disse al suo cuore:
- Essi non mi comprendono: io non sono bocca per queste orecchie.
Troppo a lungo, certo, vissi sulla montagna, e troppo a lungo ascoltai il sussurro dei ruscelli e degli alberi: ora parlo, per loro, come un capraio.
L'anima mia è serena e luminosa quale montagna al mattino. Ma essi pensano che io sia freddo e un buffone dalle burle atroci.
Ed ecco che mi guardano e ridono: e mentre ridono anche mi odiano. Vi è del ghiaccio nel loro riso."

(Così parlò Zarathustra, tr. it. di M. Costa, Mursia, 1978, capitoli III-V del Prologo di Zarathustra)

"Considerazione Inattuale"di Friedrich Nietzsche

Questo video è un passaggio tratto dall'incipit della seconda "Considerazione Inattuale" di Friedrich Nietzsche, nel quale il filosofo tratta il tema della memoria. In questo passaggio Nietzsche cerca di esprimere come sia l'uomo l'unico animale che porta il peso della memoria e come questa memoria sia una catena che lo segue continuamente, che gli impedisce di dispiegare il suo essere perchè lo lega troppo a ciò che è stato, impedendogli di capire ciò che potrà essere.


lunedì 10 dicembre 2012

WuWei


WuWei  (無為, 无为)

il concetto di non azione

Il Wu wei (無為, 无为) è un importante precetto del Taoismo che riguarda la consapevolezza del quando agire e del quando non agire

Il Wu wei è il termine cinese che esprime un concetto complesso, quello di NON AZIONE, ma non corrisponde ad una sorta di invito alla passività, poichè la non azione non è intesa come assenza di azione, è piuttosto l'agire armoniosamente con il divenire del DAO la "Via".
Tutto ciò è parte fondamentale del paradosso wei wu wei (azione senza azione). 
Lo scopo del wu wei è il mantenimento di un perfetto equilibrio, o allineamento con il Tao, e quindi con la natura.

Nella concezione taoista del wu wei bisogna quindi scartare un'interpretazione meramente passiva dell'agire; va interpretata piuttosto come accettazione delle trasformazioni della natura, diviene dunque una forma di attività che richiede di essere ricettivi e attenti in ogni situazione.


Il wei wu wei, tradotto sempre come l'azione della non-azione, rappresenta il paradosso centrale del Taoismo filosofico, da cui derivano gli altri: la moralità della non-moralità, la conoscenza della non-conoscenza, e così via.

Esso è il totale rifiuto da una parte di un'azione oggettiva e dall'altra di un soggetto agente; il dualismo sorge perché l'agire tende a un risultato, alla realizzazione di uno scopo che si ha in mente. L'unica via per trascendere il dualismo del sé e dell'altro è di agire senza intenzionalità, senza l'attaccamento a un fine progettato. Svanisce allora quella frattura tra la mente che si prefigge una meta e il corpo utilizzato per ottenere quel risultato.


Questo concetto è presente anche nelle arti marziali, infatti spesso chi viene attaccato, sfrutta la forza dell'altro a suo vantaggio: non agendo inizialmente compie comunque un'azione, che in seguito porterà vantaggio a se stesso.



«Chiunque agisca manda in rovina.
Chiunque trattenga perde.
Perciò il saggio:
non agisce e nulla rovina,
non trattiene e nulla perde.
Perciò il saggio:
Non desidera i beni che sono difficili da ottenere.
Impara ciò che non è erudizione.
Ritorna su quel che la moltitudine ignora.»



«La cosa più sottomessa al mondo può sopraffare la più dura al mondo, quel che non ha sostanza penetra in quel che non ha fessure. Da ciò conosco il beneficio dell'attenersi al non-agire. L'insegnamento che non usa parole, il beneficio dell'attenersi al non-agire, questi, al di sopra della comprensione di tutti, sono solo per pochi al mondo»